Cosa sono quelle casette?

Le casette o stallette dei contadini

Cosa sono quelle casette? Durante le passeggiate in montagna, capita spesso di vederle. Le più rudimentali sono formate da pietre accumulate l’una sull’altra con un tetto di legno improvvisato. Qui a Vallepietra le chiamano stallette o casette e sono un’icona della tradizione contadina. 

Erano adibite a diversi usi. La maggior parte serviva da ricovero per uomini e animali. Al loro interno veniva costruita una struttura in legno chiamata graticcio, dove si conservava il fieno. Avevano quasi tutte un camino per scaldare l’ambiente durante i periodi più freddi.  

Per sedersi davanti al calore del fuoco o per mungere gli animali si usava la prediola, un piccolo sgabello con tre piedi e una seduta a mezzaluna. Vi erano poi diversi oggetti di uso quotidiano. La scendilena, era una lampada ad acetilene di ferro con gancio, che serviva ad illuminare l’ambiente durante le ore notturne. Appoggiati alle pareti, vi erano diversi attrezzi: una vanga, una zappa, una falce, una mazza, una sega per la legna, un’ascia, una corda, del fil di ferro, una trivella, un forcone. Quelle più grandi avevano anche una credenza a muro per contenere stoviglie, come piatti, pentole e padelle. 

Nella zona adibita agli animali, posta sotto al graticcio, c’era una mangiatoia ed era separata da una parete di legno. Le finestre erano aperture con delle sbarre di ferro per evitare l”intrusione di animali. Oppure avevano delle ante di legno e un sistema per bloccarle. Vi erano due ingressi: quello principale e un secondo ingresso, più elevato rispetto al suolo, grazie al quale si poteva accedere direttamente al solaio o fienile. Sulla porta, sempre in legno o su una delle pietre che facevano da struttura, venivano scolpite la data o il nome del proprietario.

Le stallette, oltre ad essere un ricovero per i contadini erano il centro della vita rurale. In alcuni periodi dell’anno si viveva qui e si dormiva qui, insieme alle bestie.

Mio nonno

Mio nonno è nato a Vallepietra ed era un grande lavoratore. Ogni sera rientrava trasportando sulle spalle pesanti sacchi di patate e fagioli dal suo orto fino in paese. Qualche giorno fa, mi è capitato di ripercorrere il suo cammino e per un momento ho immaginato di tornare indietro nel tempo.

La vita all’epoca non era facile. Lui partiva alle prime luci dell’alba e arrivato al luogo che racchiudeva tutte le ricchezze, iniziava a chinarsi. Rimaneva chinato per ore. A volte zappava, a volte raccoglieva i frutti della terra, a volte falciava per togliere le erbacce. Poi metteva il raccolto in grossi sacchi di iuta e lo trasportava lungo un sentiero impervio totalmente in salita. Ho percorso la stessa strada con uno zaino da trekking comodamente appoggiato sulle spalle e vi confesso che ho faticato. Mio nonno la faceva tutti i giorni e l’ha fatto per novant’anni. Mio nonno era un eroe.

Aveva diverse stallette in pietra, costruite con le sue mani. Ricordo oggetti appesi alle pareti e altri che pendevano dal soffitto. Portava sempre con sé qualcosa da mangiare, oppure se la procurava: un pò di pane, del formaggio, delle cipolle, delle pannocchie, dei ravanelli, qualche fetta di polenta. Nella mia testa di bambina non riuscivo a capire il motivo per cui mio nonno preferiva mangiare pane e cipolla piuttosto che un bel piatto di pasta. Col tempo ho compreso che per lui quella fetta di pane rappresentava la vera essenza della vita.

Purtroppo, col passare degli anni, queste strutture, la nostra archeologia rurale, sono state via via abbandonate. Diverse sono crollate ma altre sono ancora integre ed entrarvi è come tornare indietro in un tempo lontano. Sono luoghi sacri che andrebbero rivalutati ad esempio introducendo percorsi per visitarli.

Fotografia: 

Cristoforo David