Cugli Desperados

Un bellissimo racconto in dialetto che descrive le giornate di festa di paese, quando le bande folkloristiche erano un simbolo di coesione e condivisione della musica tra le generazioni.

I Desperados di Vallepietra erano conosciuti in tutto il Lazio (e non solo) per i caratteristici strumenti che utilizzavano per suonare. C’erano ad esempio una caffettiera gigante, delle forbici enormi, dei piatti, delle grandi pentole con i loro coperchi, martelli e attrezzi da lavoro sempre in formato maxi. Erano tutti pezzi unici e inusuali, che suscitavano una certa curiosità tra gli spettatori, in particolare i bambini. L’impresa più grande era trasportarli per tutta la durata della manifestazione, perché erano molto pesanti.

La divisa dei musicanti era caratterizzata da un pantalone scuro, una camicia, un gilet nero, un fazzoletto verde al collo, un cappello nero a punta e le ciocie, tipico calzare diffuso in tutta l’Italia Centrale che ha dato il nome al territorio della Ciociaria, nel Lazio. Vi erano poi gruppi di donne, vestite con grandi gonne, che trasportavano cesti contenenti fiori colorati. Creavano uno splendido, caratteristico quadretto muovendosi a tempo di musica durante tutta l’esibizione. 

I Desperados si sono sciolti negli anni ’90. I loro ricordi sono conservati con cura dal maestro Filippo Graziosi nel Museo Civico di Vallepietra adiacente la piazza del paese.
Sarebbe bellissimo valorizzare e riprendere questa tradizione, ritrovare quei momenti di spensieratezza e condivisione. Purtroppo l’epoca in cui ci troviamo ci costringe ad affrontare la vita in modo accelerato privandoci dell’emozione del momento e i contatti sociali diventano sempre più rari. Bisogna riscoprire le nostre origini e tornare a vivere in maniera più profonda, più semplice. Riappropriarci degli attimi di gioia e di pura energia, come fermarci in piazza per ascoltare la banda del paese e riconnetterci con le nostre radici.

Cugli Desperados

I Desperados, la banda furcruristica ‘nventata da Felippu de Pietrucciu Peppetto, partecipeva praticamente a tutti i raduni delle bande che urganizzeva la  Ambima Lazio che è lassuciazione delle bande. Ju presidente era chigli tempi Urbano Manna.  Na vota parteciparu agliu radunu a Monteporzio Catone. Agli raduni partecipavanu sempre cinque sei bande che venevanu da paisi diversi, più la banda lucale. 

Verso le due degliu pummeriggiu sfilevanu tutte e se diriggevanu verso ju centro degliu paiese, addò pò se sarìa svortu nu cuncertu, banda pè banda. A turnu ugni banda azzeccheva ‘ncima agliu parcu e suneva cinque sei mutivi. Jordine de ‘nterventu ju stabilisceva jurganizzatore.

Agli Desperados ci tuccheva sempre o pe urdimi o pe penurdimi. Era nà scerta, pe trattené la gente più pussibbile alla piazza. I Desperados piacevanu tantu! 

Con i Desperados

I “Desperados, la banda folkloristica inventata da Filippo de Pietrucciu Peppetto, partecipava praticamente a tutti i raduni delle bande che organizzava la Ambima Lazio,  l’associazione delle bande. Il presidente a quei tempi era Urbano Manna. Una volta parteciparono al raduno a Monteporzio Catone. Ai raduni partecipavano sempre cinque o sei bande che venivano da paesi diversi, più la banda locale. 

Verso le due del pomeriggio, sfilavano tutte e si dirigevano verso il centro del paese, dove si sarebbe svolto un concerto, banda per banda. A turno ogni banda saliva sul palco e suonava cinque o sei motivi.  L’ordine di intervento lo stabiliva l’organizzatore.

Ai “Desperados” toccava sempre per ultimi o per penultimi. Era una scelta  per trattenere la gente il più possibile in piazza. I “Desperados” piacevano tanto! 

Pé usterie e fraschette

Comme jurganizzatore dagliattu parlante finisceva de dì la sequenza, ci steva ju rumpate le riche. i cumpunenti degliu cruppu eranu persone ‘nziane, giovani e puru racazzotti e gnunu se nne jeva pé cuntu sé. 

Chigli più adurti e chigli ‘nziani subbitu se diriggevanu verso lusterie e le ‘nvadevanu. A Monteporzio ci stau diverse fraschette, cu chigliu che venne la purchetta llà nnanzi. Nu cruppu de sunaturi cumpostu da Enzo Sgariciu, Giuvanninu, ju maestro Felippu, Lurenzu Catroli e atri, subbitu uccuparu nu tavulinu proprio affiancu alla purchetta e cumenzaru a bbeve e magnà. Doppo mpò eccu che arrivaru puru Carlinu, ju frateglio Felicetto e Italinu. Chisti urdimi doa purtevanu ‘ncogliu i trumbuni. Subbitu sassettaru agliu tavulinu addò steva Enzo e gliatri. Pagnuttelle…i litri ‘nse cuntevanu. Quandu se cumenzà avicinà ju mumento che sarìa tuccatu de sunà agli disperati, sarizzaru e cumenzaru avicinasse agliu parcu. 

Per osterie e fraschette

Come l’organizzatore dall’altoparlante finiva di dire la sequenza, c’era il “rompete le righe”. I componenti del gruppo erano persone anziane, giovani e anche ragazzotti e ognuno andava per conto suo.

Quelli più adulti si dirigevano verso le osterie e le invadevano.
A Monteporzio ci sono diverse fraschette con il chiosco che vende la porchetta davanti. Un gruppo di suonatori composto da Enzo Sgariciu, Giovannino, il maestro Filippo, Lorenzo Catroli e altri, subito occuparono un tavolo proprio a fianco al chiosco della porchetta e iniziarono a bere e mangiare. Dopo un pò arrivarono Carlino, il fratello Felicetto e Italino. Quest’ultimi due portavano al collo i tromboni. Subito si sedettero al tavolo dov’erano Enzo e gli altri. Pagnottelle e litri non si contavano. Quando si cominciò ad avvicinare il momento in cui i “disperati” avrebbero dovuto suonare, si alzarono e cominciarono ad avvicinarsi al palco.

Ju caffè

Filicettu e Italinu, cugli trumbuni ‘ncoglio, discutevanu degli probblemi che tteo tutti i vaccari. “Se pozza cecà, chella Jenca nu varia mmai a bbè! Eh mma jé ce lla portu eh!”. “Zzittu! Nnu mme llu dice che je tenco chella Tramuntana che sse va a ttruvà sempre i posti più scommeti! Ca vota se scapucolla! Ci desse nu corpo!”. 

Mentre jevanu jacchierennu ccusì […] allacciaru nu chioscu bare e iru versuo ju bancone. ‘Ntanto Enzo cu Felippu i sequevanu a pochi metri e sentevanu i discursi che jevanu facennu. Arrivaru agliu bare e subbitu urdinaru du caffè.[…]

[…] ‘Ntantu seranu accorti che gliatri crienti i quardevanu cu nna certa attenzione e curiosità. Cu tuttu chigliu muvimento e ppò cu chigli dò semplari nanti, puru ju barista ì mpò ‘nconfusione. Affiancu agli nostri ci stevanu du sgignori che eranu urdinatu du caffè agghe. Chisti doa erano tra chigli che quardevanu cu curiosità i nostri. E i nostri gni ttantu ci lancevanu qua ucchiataccia truce. 

Ju barista era itu ‘ntirde, che ffà? Senza accurgesenne piglia e porta i dò caffè agghe a Filicetto e Italinu. Chisti ‘ntantu parlevanu sempre delle vacche e cumenzaru a mmette lu zuccaru e girevanu cò gliu cucchiarinu. Chigli che aspettevanu i caffè agghe seranu accorti degliu quivucu e tenennu puntati i dò semplari. A forza de ‘ngestri fecero capì agiliu bbarista che sera sbagliatu. Chigliu allora ì dagli nostri e ci disse: “…scusate, mi sono sbagliato, questi caffè sono caffè hag e non sono per voi ma sono di quei signori”. 

I nostri quardaru chigliatri cu nna faccia suspetta e Italinu subbitu cu gliu bbracciu cuprì le dò tazzette degliu caffè comme pé pruteggele e pensennu che chigli i vulevanu frecà. Cu spressione feroce fece agliu barista: “…no, no! chisti sò gli nostri. E pò agghe o nu agghe, nu ci bbevimu puru la strecchenina!!”.

Il caffè

Felicetto e Italino, con i tromboni al collo, discutevano dei problemi che hanno tutti i vaccai. “Che si possa restar cieca, quella vitella, non cambia mai, eh ma ce la porto eh!”. “Zitto, non me ne parlare, io ho quella Tramontana che si va a cercare sempre i posto più scomodi! Prima o poi cadrà in un dirupo! Che le prendesse un colpo!”.

Mentre chiacchieravano […] arrivarono a un chiosco bar e andarono verso il bancone. Intanto Enzo con Filippo li seguivano a pochi metri e sentivano i discorsi che facevano. Arrivarono al bar e subito ordinarono due caffè. […]

Nel frattempo si erano accorti che gli altri clienti li guardavano con una certa attenzione e curiosità. Con tutto quel movimento e con quei due “esemplari” davanti, anche il barista andò in confusione A fianco c’erano due signori che avevano ordinato due caffè Hag. Questi due signori erano tra quelli che li guardavano con curiosità. Nel frattempo loro gli lanciavano qualche occhiataccia.

Il barista era andato in tilt e senza accorgersene portò i due caffè Hag a Felicetto e Italino. Questi intanto parlavano delle mucche e cominciarono a mettere lo zucchero e girare il caffè col cucchiaino. Coloro che aspettavano i due caffè si erano accorti dell’equivoco e avevano puntato i due “esemplari”. A forza di gesti fecero capire al barista che si era sbagliato. Quindi andò da loro e disse: “scusate, mi sono sbagliato, questi caffè sono Hag e non sono per voi ma per quei due signori”.

Li guardarono con una faccia sospetta e Italino subito con il braccio coprì le due tazzette del caffè come per proteggerle, pensando che qualcuno lo stesse ingannando. Con un’espressione feroce disse al barista: “no, no! Questi sono i nostri. E poi Hag o non Hag, noi ci beviamo pure la stricnina!!”

Fotografia (foto d’epoca):

Agnese David
Ennio Pigliapoco
Paola Massimi
Daniela Aspromonti
Augusto Tozzi
Filippo Graziosi (il maestro)

Bibliografia:

David E.P., I raccunti…de Enzo, Vallepietra, 2011