Fara San Martino, le Gole: l’anima della Majella

Fara San Martino

Ho conosciuto questo bellissimo luogo grazie ad Aldo Madonna, un amico, che mi ha portato alla scoperta di questo meraviglioso territorio in occasione del primo Festival della Montagna. Prima di allora non conoscevo Fara San Martino e non avevo mai sentito parlare delle sue Gole.

Questo incantevole borgo si trova all’interno del Parco Nazionale della Majella. È incastonato tra le Gole della Valle Santo Spirito e la Valle Serviera, ai piedi del grande massiccio montuoso.

L’ingresso al paese è veramente mozzafiato. Lo sguardo è catturato dalle montagne circostanti, che si elevano come delle gigantesche onde e creano una cornice unica e molto suggestiva. 

Il borgo di Fara San Martino

Siamo arrivati alle Gole di Fara passando attraverso le strette stradine del centro storico dell’antico borgo di Fara San Martino. Le sue origini risalgono all’epoca medievale ma queste zone sono abitate sin dal Paleolitico. Questo per via della presenza di sorgenti e grotte, che venivano utilizzate come rifugio, mentre le rocce circostanti erano importanti riserve di caccia e di estrazione della selce. Anche il termine Fara ha origini molto antiche. È stato coniato dai longobardi e deriva dal germanico Fahren che vuol dire spostamento e con il tempo è mutato in Fara. Il termine San Martino, invece, è stato associato successivamente e deriva dall’antica Abbazia di San Martino in Valle, di cui si possono ancora ammirare i resti.

Appena accedo al borgo, vengo subito colpita da un particolare che rappresenta uno scorcio del passato: l’antica buca delle lettere sotto l’arco della porta di accesso. Poco più in là la piccola chiesa S.S. Annunziata, del 1044. Continuiamo attraverso Via Terra Vecchia, ai cui lati si aprono strettissime viuzze laterali, dalle quali riesco a scorgere le montagne.

Le sorgenti del Fiume Verde

Passato il borgo si prosegue per un tratto lungo la strada asfaltata fino a raggiungere le sorgenti del Fiume Verde.

Il Fiume Verde è un affluente dell’Aventino e nasce dal monte Acquaviva, a 2.737 metri di altezza. Le sorgenti sono il risultato dell’incontro tra l’acqua piovana e la fusione dei nevai. Il colore verde brillante, invece, deriva dalla presenza di alghe che in aggiunta alla purezza di un’acqua cristallina, danno questa particolare colorazione. E’ un ingrediente di valore utilizzato una famosissima azienda produttrice di pasta, che ha i suoi laboratori vicinissimi al paese. Beviamo da una fontana l’acqua freschissima e dissetante, che proviene proprio delle sorgenti.

Le Gole di Fara San Martino

Proseguiamo lungo una strada sterrata e in pochi minuti raggiungiamo le Gole di Fara San Martino, sul versante orientale della Majella. Si tratta di veri e propri canyon che si fanno strada attraverso pareti di roccia altissime. Ho la sensazione di entrare all’interno dell’anima della montagna. Davanti ai miei occhi si apre un territorio selvaggio, in cui fino a primavera è possibile scorgere i camosci, arrampicati sulle ripide pareti. Questi splendidi animali sono stati reintrodotti nel Parco negli anni 90 e attualmente il loro numero ha raggiunto i 500 esemplari.

L’apertura del passaggio d’ingresso è di circa 2 metri. Una leggenda narra che fu generata da San Martino, che per consentire un accesso più agevole ai pascoli della Majella, allargò la roccia con forza delle sue braccia. Guardando bene le due pareti mi sembra quasi di scorgere i due fori lasciati dai suoi gomiti.

L’accesso è delineato da un muro diroccato, che rappresenta un antico portale. Infatti, durante il IX secolo d.C., in queste zone risiedevano i monaci benedettini. Quest’ultimi, agevolati dalla forma della roccia e dallo stretto passaggio, crearono una zona di dazio e per oltrepassarla era necessario pagare una quota.

L'Abbazia di San Martino in Valle

Poco più avanti si erge il luogo che rappresenta un’importante testimonianza della presenza dei monaci: l’Abbazia di San Martino in Valle.

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce un antico monastero all’interno di uno scenario impressionante. Le prime vicende dell’Abbazia di San Martino sono raccontate nella Cronaca del Monastero di Farfa dal monaco Gregorio di Catino. A quanto pare, già dal VII secolo d.C., la comunità benedettina trovò rifugio e riparo all’interno della grande parete scavata nella roccia in cui è stato successivamente inglobato l’edificio. La prima costruzione, molto più piccola, fu dedicata a San Martino martire, vescovo di Tours. I pochi documenti consultati (alcuni sono ancora in fase di studio), dicono ben poco della sua storia durante il periodo medievale (IX-XI secolo). Però quasi certamente nell’anno 1451, tutti i suoi beni passarono al Capitolo Vaticano, che ne mantenne la proprietà fino al 1789. 

Le alluvioni e la ricostruzione

Col passare dei secoli il convento fu abbandonato e sfortunatamente anche sommerso da due alluvioni: una nel 1919 e un’altra nel 1929. In entrambe le circostanze furono fatti degli scavi per riportare alla luce il sito ma non a titolo archeologico bensì religioso. Furono condotti dagli stessi faresi, con la collaborazione dei paesi limitrofi. Gli abitanti, in realtà, erano convinti di riportare alla luce i resti di San Giovanni Stabile, uno dei sette frati santi che nel XIV secolo vivevano nella provincia di Chieti. Secondo la tradizione, infatti, il santo doveva essere sepolto dietro l’altare principale dell’Abbazia. Durante lo scavo del 1891 furono scoperti dei resti ossei che tornarono alla luce nel 2009, quando l’edificio fu riportato nuovamente al suo antico splendore. Non vi è certezza che i resti appartenessero a Giovanni Stabile ma sicuramente appartenevano a un personaggio venerato. 

Attualmente l’Abbazia è stata parzialmente ricostruita, recuperando i ruderi tra i sedimenti rocciosi trasportati dalle alluvioni. Guardandola riesco a immaginare la sua bellezza. Il meraviglioso cortile, il colore bianco, i simboli e le iscrizioni sulle mura, le colonne intarsiate, i capitelli decorati, le porte di forma gotica. Tutto abbracciato dalla roccia nuda. Sono rimasta veramente colpita da tanta magnificenza. 

A pochi metri da questa meraviglia si trova una fonte d’acqua freschissima che sgorga dalle pareti delle gole, chiamata in dialetto la fonte di Vaiz’ Long, realizzata dall’artista Giovanni di Falco.

Proseguendo lungo le gole si percorre il sentiero H1, attraverso il quale si raggiunge il Monte Amaro, alto 2.793 metri. Considerando che il parcheggio delle gole di trova a 470 metri, il dislivello è di circa 2.350 metri, mentre i chilometri da percorrere per raggiungere la vetta sono 14,5.

Il Festival della montagna

Durante la mia permanenza ho avuto la fortuna di assistere agli eventi organizzati in occasione del primo Festival della Montagna, il più a sud d’Italia. Ho visto l’arrivo degli atleti della Monte Amaro Extreme Si tratta di una gara di trail running ad alta quota che parte dal centro storico di Fara San Martino fino ad arrivare al Monte Amaro la vetta più alta della Majella.
La corsa, lunga 29 chilometri, con un dislivello di più di 2.500 metri, è stata vinta dal runner molisano Pardo La Serra con un tempo record di 3:55:09. 

L’organizzazione della manifestazione è stata eccezionale. Sono state anche allestite pareti attrezzate per le arrampicate all’interno delle gole. Nel programma c’era anche un bellissimo evento creato grazie alla collaborazione con Montagne senza barriere.  È un progetto che promuove giornate dedicate ai disabili e alle loro famiglie, regalando momenti emozionanti e indimenticabili all’interno del contesto naturale delle montagne abruzzesi. Il nobile intento viene realizzato grazie al prezioso aiuto di volontari e all’utilizzo di speciali carrozzelle chiamate joëlette. Hanno una forma e una struttura che permettono un trasporto agevole anche in presenza di un sentiero impervio. Si tratta infatti di carrozzelle “fuori strada” che agevolano lo spostamento di persone con mobilità ridotta, anche se totalmente dipendenti. È stato emozionante vedere i loro volti sorridenti ed eccitati per questa fantastica esperienza. 

Sempre grazie ad Aldo, ho avuto la fortuna di conoscere personalmente un mito, Giampiero di Federico, che mi ha regalato il suo bellissimo libro autobiografico La vita è fredda con una dedica. Giampiero è un alpinista, definito il più veloce salitore di una via nuova sugli ottomila. Infatti, è famoso per aver aperto in solitaria una nuova via sulla parete Nord Ovest del Gasherbrum I, in Pakistan, ad ottomila metri di altezza.

La Gualchiera

“Non puoi andartene da Fara senza aver visto la Gualchiera”. Questo mi ha detto Aldo il giorno della partenza. Così l’ho seguito e grazie alla gentile collaborazione di una delle guide turistiche dell’associazione Majellando, ho conosciuto l’affascinante storia di questo particolare macchinario.

La Gualchiera in realtà è un vero e proprio edificio che fino a poco tempo fa era di proprietà di una famiglia del paese. Successivamente è stato trasformato in un museo. La parte più interessante di questa struttura è la presenza dell’acqua al suo interno. Infatti, si tratta di un meccanismo che utilizzava l’energia idraulica.

Tutto ha inizio durante il periodo medievale, quando l’energia della ruota idraulica e dell’albero a camme vennero sfruttate per la gualcatura dei tessuti di lana. Il procedimento prevedeva la battitura di questi tessuti immersi in acqua calda, sapone, argilla e spesso anche urina, fino a provocarne l’infeltrimento. Dopo questo processo le fibre diventavano più compatte, resistenti e parzialmente impermeabili.

Nell’antichità questo procedimento veniva eseguito dagli schiavi, che immersi in questa soluzione battevano i tessuti con i piedi.

La prima testimonianza della gualchiera italiana risale al X secolo d.C., in Italia Centrale ed esattamente a Carpineto della Nora, in Abruzzo. Il termine deriva dal germanico walkan, che indica uno spostamento da un posto ad un altro. Si suppone, quindi, che la diffusione di questo tipo di macchine idrauliche sia dovuta all’influenza dei Longobardi, che a partire dal VI secolo invasero e conquistarono l’Italia.

La Gualchiera di Fara San Martino

La gualchiera di Fara San Martino risale al 1800.  È composta da un follone, utilizzato come albero a camme mosso dall’energia idraulica, con pezzi di metallo che battevano sulla lana. Una cardatrice, ovvero una gigantesca ruota su cui sono montati pezzi di cardo fissati con fil di ferro. Ne esistono anche versioni più piccole, che anticamente sono state anche utilizzate per martorizzare i santi. Infine, una pressa, sotto la quale si inseriva il tessuto infeltrito che veniva pressato.

Fu usata tantissimo durante il periodo delle guerre, perché riusciva a creare tessuti ignifughi e idrorepellenti utilizzati per le divise militari. Ma anche coloratissime coperte ricamate, che venivano donate alle giovani donne come corredo nunziale.

A Taranta Peligna esiste ancora l’ultimo lanificio che lavora su ordinazione e produce ancora queste bellissime coperte. L’antica gualchiera di Fara San Martino è una rarità, ne esiste soltanto un’altra a Tiana, in Sardegna.

Sinergia e connessione

Termina la mia visita a Fara, avvenuta per caso, come tutte le cose belle che accadono nella vita. Trovo che questa sinergia e connessione tra diverse realtà del nostro territorio sia qualcosa di bello e costruttivo e vorrei continuare a portarlo avanti tramite il mio blog e la mia pagina Facebook.

Vi lascio con questa breve citazione del mio poeta preferito, Walt Whitman:

Oggi prima dell’alba sono salito su un colle e ho guardato il cielo affollato,
E ho detto al mio spirito, 
Quando avremo abbracciato quelle orbite e il piacere e la conoscenza di ogni cosa in esse, saremo pieni e soddisfatti, allora?
E il mio spirito mi ha detto, 
No, spianeremo quel limite per passare e proseguire oltre.

 

Fotografia:

Tiziana Ilari

Aldo Madonna

Bibliografia/sitografia:

L’antica abbazia di San Martino in Valle, Corrispondenza anno 54° n. 3 settembre, ottobre 2009, Archeologa Luciana Tulipani (Archeologia Cristiana e Medievale)

Parco della Majella