Il rito: un tesoro perduto

Il rito, le tradizioni e i rituali

Il rito, le tradizioni e i rituali fanno da sempre parte della storia dell’uomo, sin dalla sua prima comparsa sulla terra. Grazie agli scavi e successivamente all’invenzione della scrittura, siamo riusciti a ricostruire parte delle loro origini.

Riti funerari, cerimonie e sacrifici umani per placare l’ira degli spiriti, rituali di danza per manifestare emozioni collettive o comunicare con l’aldilà.

Qualcosa di sacro, profondamente legato al culto religioso, che nell’area del nostro territorio si fonde con le tradizioni. Quest’ultime abbracciano aspetti della nostra cultura tramandati oralmente, di generazione in generazione. Purtroppo, con il passare del tempo e il mutare delle condizioni della nostra società, vengono abbandonate, dimenticate, portando via una parte della nostra esistenza. 

Il culto del Santuario della Santissima Trinità

Il culto noto nel territorio di Vallepietra è quello legato alla Santissima Trinità e all’immagine delle tre figure di Cristo, rappresentate nell’affresco dipinto sulla parete della piccola chiesa scavata nella roccia.

La leggenda popolare narra di un contadino impegnato ad arare la sua terra, che ad un certo punto vide cadere nel vuoto il suo aratro con due buoi. S’incamminò per cercarli e li ritrovò vivi, in adorazione davanti all’immagine sacra. L’aratro invece, rimase impigliato nella roccia. Fino a qualche tempo fa, i pellegrini ancora tentavano di intravederlo sulla grande parete del Colle della Tagliata. Si racconta che questo famoso oggetto simbolico fosse caduto e andato perduto a seguito di un forte temporale.

I rituali legati al Santuario

Attorno al luogo, ruotano una serie di rituali legati agli elementi naturali presenti sul territorio. Uno di questi consiste nel formare cumuli di pietre ai piedi delle croci presenti lungo il percorso verso il santuario. Si tratta di un gesto arcaico che ricorda il nostro culto per i defunti.

Un altro rito strettamente connesso con la roccia consiste nel raccogliere goccia a goccia l’acqua “sacra” che trasuda dalla parete del Colle della Tagliata all’interno delle grotte dove sono custodite le reliquie sacre. Una volta raccolta, quest’ultima diventa una bevanda miracolosa in grado di alleviare il dolore delle persone malate.

I due elementi, l’acqua e la grotta, sono carichi di significato. La grotta rappresenta una porta, un limite di transizione tra la dimensione umana e quella spirituale, attraversando il quale si vive una sorta di rinascita.
L’acqua è il simbolo di queste montagne dalle quali sgorga abbondantemente. Ha consentito e tuttora consente l’insediamento umano e lo sviluppo della vita. Ha proprietà terapeutiche ed è un elemento strettamente connesso alla terra, perché fuoriesce in superficie dalle sue profondità. Proprio per questo ha un potente significato metaforico perché scaturendo dalle viscere della terra è il latte che nutre e disseta i suoi figli, come un seno materno. 

Le usanze contadine

Le usanze legate all’acqua si rispecchiano anche nell’agricoltura. I contadini di Vallepietra, infatti, fanno ancora uso di un sistema di irrigazione antichissimo detto ju sésto. Con molta probabilità, questo modo di portare l’acqua alla terra risale al tempo dei Romani, se non addirittura a quello degli Equi. Infatti, si basa sullo stesso principio usato per portare l’acqua dal fiume Aniene fino alla città di Roma.

L’uomo, quindi, ha da sempre un legame viscerale con l’acqua e la terra, inevitabilmente collegati al fuoco. Fino a qualche decennio fa, i contadini della zona producevano il carbone attraverso le carbonaie. Venivano costruite all’interno dei boschi, vicino al punto di raccolta del legname. Erano delimitate da un solco tracciato nel terreno, all’interno del quale si accatastava la legna fino a formare una torre, lasciando un buco al centro. Dopo di che il tutto veniva ricoperto dalla terra, creando una specie di cupola. Poi si versavano legnetti e brace ardente all’interno del buco. Vari spiragli, praticati sulla struttura, permettevano di far affluire l’aria e far propagare la temperatura uniformemente.

Il fuoco come la terra rappresentava per i contadini un importante strumento di sopravvivenza. Garantiva il riscaldamento, la cottura del cibo, la stessa vita e veniva venerato. In tutta la Valle dell’Aniene è diffuso il ballo della Pantàsema, durante il quale un’enorme pupazza, dopo aver danzato freneticamente per diversi minuti, viene bruciata. È un rito propiziatorio, legato all’antica cultura contadina. Il fuoco, infatti, aveva una funzione purificatrice e di salvezza nei confronti di tutti gli eventi avversi che nel corso dell’inverno minacciavano la vita stessa.

la Pantasema

La terra degli Equi

Queste terre conservano storie meravigliose, alcune delle quali sono andate perdute, insieme alle persone che le custodivano. Questa è la terra degli Equi, l’antico popolo, distrutto dai Romani nel 304 a.C.. Erano profondamente legati agli elementi presenti in natura e alla madre terra. Molti rituali antichi probabilmente sono stati ereditati da loro.

Gli Equi avevano imparato a sfruttare la forma del terreno per costruire i loro insediamenti chiamati oppida. Individuavano dei terrazzamenti naturali nei pressi dei quali innalzavano i loro edifici con le loro mura poligonali.
Erano dei pastori guerrieri, che per la loro sopravvivenza cercavano di mantenere il controllo delle zone di passaggio della transumanza. Il re Anco Marzio (641-616 a.C.) trasse da loro il rituale dei Feziali.

I Feziali erano un collegio sacerdotale dell’antica Roma. Facevano da intermediari nella stipula di patti internazionali o per la dichiarazione di guerra con altri popoli. Un loro rappresentante, infatti, si recava presso il confine con un’asta insanguinata e dopo aver recitato una formula con cu dichiarava guerra la lanciava all’interno del territorio nemico. La cerimonia di dichiarazione di guerra prevedeva l’uso di elementi simbolici. La verbena come “erba sacra” e simbolo del territorio romano. La selce, pietra sacra, utilizzata sin dall’antichità per fare il fuoco. Proteggeva dal maligno ed era usata per uccidere un suino.
L’animale veniva identificato come il simbolo della falsità e dell’infedeltà nei confronti dei romani.

Il rito dell'uccisione del maiale

Il rito dell’uccisione del maiale attraversa i secoli fino a giungere alla nostra tradizione contadina. Di solito, l’animale, si acquistava nelle fiere e si allevava nutrendolo con gli avanzi.

Veniva ucciso tra dicembre, gennaio e febbraio che coincidono con il periodo freddo dell’anno, per garantirne la conservazione. L’uccisione era un vero e proprio rito, una festa da condividere con tutta la famiglia e il vicinato. Ogni parte dell’animale veniva sfruttata. Nella mia famiglia, a Vallepietra, utilizzavano perfino il sangue che veniva mischiato alla cioccolata per realizzare una crema spalmabile detta “sanguinaccio”.

I riti fanno da sempre parte della nostra vita. Ogni cosa che facciamo, più o meno inconsapevolmente, rappresenta un rito. Ognuno di noi, infatti, è legato a un gesto che gli trasmette delle sensazioni positive, di pace e serenità.
Il mio è quello di abbracciare gli alberi.

Bibliografia e sitografia:

Ministero per i beni e attività
culturali, Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Vallepietra, 2006: Fede e tradizione alla santissima Trinità di Vallepietra 1881-2006

Giuseppe Bonifazio

Feziali – Wikipedia

Antropos

Fotografia: Tiziana Ilari
Foto di copertina: Cristoforo David
Foto delle carbonaie e dell’uccisione del maiale: Associazione culturale Don Salvatore Mercuri
Foto carta degli Equi: Fabio Orlandi

Leggi anche l’articolo dedicato alle more e gli eremi di Vallepietra.